Le ville romane del territorio. I reperti scultorei
Tra i reperti custoditi presso il Museo Civico Archeologico “Rodolfo Lanciani” trovano luogo di conservazione i materiali scultorei provenienti dalle numerose campagne di scavo delle ville rustico-residenziali dell’agro tiburtino-cornicolano.
In località Martellona, tra il 1999 e il 2016, gli scavi nel terreno attiguo all’American Hospital Group, nel territorio comunale di Guidonia Montecelio, hanno messo in luce una necropoli di circa 450 tombe, databili dal IV secolo a.C. al IV d.C., e parte di una villa rustico-residenziale, già nota alla letteratura archeologica.
L’archeologo Thomas Ashby individuò qui i resti di una villa con cisterna, probabilmente da identificarsi con gli stessi segnalati da Rodolfo Lanciani. È possibile riconoscere una pars rustica con ambienti preposti alla produzione agricola, come il doliarium (cantina) e il torcularium (torchio), connesso ad un sistema di vasche, nonché una parte residenziale con atrio e tablinum (sala di ricevimento). Non mancano inoltre un piccolo complesso termale, alimentato dalla vicina cisterna doppia e un giardino con fontane e natatio (piscina) centrale di m 46 × 15.
All’interno della natatio furono rinvenute una statua di ninfa dormiente semisdraiata, un’erma vestita raffigurante un poeta o un filosofo, entrambe acefale, ed una testa femminile con i capelli stretti da un nastro e spartiti in due bande, attribuibile ad una musa o ad una divinità. Tutti e tre i reperti, databili alla piena età imperiale, sono in marmo bianco.
Altri reperti scultorei di grande interesse provengono dalle campagne di scavo, iniziate nel 1997, preventive alla costruzione del Centro Agroalimentare Romano (CAR), le quali portarono alla scoperta di due aree sepolcrali, individuate in località Maffei, e di tre siti relativi ad impianti residenziali in località Vignacce-Maffei, nell’area della ex cava Ruggieri. Tra i reperti di maggior valore si individuano una statua femminile acefala in marmo bianco, alta circa 2 m, piuttosto danneggiata. La figura indossa una lunga veste a fitte pieghe nello scollo e nella parte inferiore, coperta da un mantello che scende dalla spalla sinistra che gira intorno alla vita fasciando il braccio destro. Il mantello è sostenuto dalla mano all’altezza del petto: un gesto che ricorda quello del tipo statuario della c.d. grande Ercolanese, attestato in ambito romano da numerose repliche realizzate tra il I e il III secolo d.C..
Dallo stesso contesto proveniente la statua maschile acefala in marmo bianco a grana fine ricomposta da numerosi frammenti, molto diversi per stato di conservazione, raffigurante un tipo di Dioniso giovane. Il dio è seduto su una roccia, posto di tre quarti verso destra con una forte rotazione del busto cui corrispondeva anche quella della testa. Manca quasi completamente il braccio destro, di cui si conserva solo la mano esposta nella vicina vetrina. La statua si può riconnettere ad un’opera bronzea lisippea ricordata da Pausania nel Santuario dell’Elicona, creata intorno al 330 a.C.. La scultura viene datata ad età adrianea per la buona qualità dell’esecuzione, il trattamento delle superfici e la resa anatomica.
Nella vicina vetrina si fa notare infine la testa di un giovane satiro in marmo bianco, databile tra la fine del I e i primi decenni del II secolo d.C. con orecchie appuntite, due piccole corna e una ghirlanda di ramoscelli di pino sulla testa, terminante con due piccole pigne. L’espressione gioiosa induce a pensare che si tratti di una replica di giovane satiro ridente, diffusa in età romana per statue simili nella decorazione di lussuose residenze e giardini, confrontabile con manufatti di età flavia e adrianea.